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Non si può servire a Dio e al Denaro: Una guida spirituale per i tempi presenti

Un Vangelo che ci interpella oggi

Ci sono parole di Gesù che, per quanto conosciute, continuano a bruciare nel cuore e a mettere a nudo la verità del nostro stile di vita. Una di queste si trova nel Vangelo secondo Matteo:

“Nessuno può servire due padroni: o infatti odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e il Denaro.” (Mt 6,24)

È una frase breve, ma tagliente come una spada. Non lascia spazio a interpretazioni comode: non si possono avere due signori. Dio chiede il nostro cuore intero, non un cuore diviso. Il denaro — che Gesù chiama Mammona — è qui più di una semplice moneta: è un simbolo di potere, di sicurezza falsa, di idolatria moderna.

Breve sguardo storico e teologico

Per capire bene questa affermazione, dobbiamo ricordare che nel mondo biblico “Mammona” non indica solo i beni materiali, ma anche la fiducia mal riposta nelle ricchezze. Gli antichi Padri della Chiesa, come Sant’Agostino e San Giovanni Crisostomo, commentando questo passo, sottolineavano che il cuore umano è fatto per Dio e non può essere diviso: se cerca la ricchezza come fine ultimo, inevitabilmente si allontana dal Creatore.

Nella storia della Chiesa, questo insegnamento ha ispirato i grandi movimenti di riforma e di povertà evangelica: dai monaci del deserto, che rinunciavano a tutto per seguire Cristo, fino a San Francesco d’Assisi, che sposò “Madonna Povertà” per servire il Signore senza catene materiali.

Il Magistero contemporaneo non smette di ricordarci questa verità. San Giovanni Paolo II ammoniva sul rischio di un materialismo pratico che riduce l’uomo a consumatore. Papa Francesco, nell’Evangelii Gaudium, parla della “idolatria del denaro” come uno dei più grandi ostacoli alla vita cristiana autentica.

Il cuore della questione: chi è il nostro Signore?

Servire Dio significa riconoscerLo come unico Signore, principio e fine della nostra vita. Servire il denaro significa piegarsi davanti a un idolo che non salva, che promette felicità ma lascia vuoti.

Il denaro non è cattivo in sé: è uno strumento. Ma quando diventa fine, si trasforma in un padrone esigente, che chiede sacrifici umani — famiglie distrutte dall’avidità, comunità spezzate dalla corruzione, persone che perdono la dignità pur di accumulare.

Gesù non dice: “È difficile servire Dio e il denaro”. Dice: “Non potete”. È impossibile. È come voler camminare in due direzioni opposte allo stesso tempo.

Una sfida per i nostri giorni

Viviamo in una società dove il successo viene misurato spesso dal conto in banca, dal possesso di beni, dall’immagine che mostriamo. Il consumismo ci bombarda con messaggi che identificano il valore della persona con ciò che possiede.

Eppure, la pandemia, le crisi economiche e i conflitti ci hanno mostrato la fragilità di tutto questo. Quanti, pur avendo molto, hanno sperimentato un vuoto interiore che nessuna ricchezza colma? E quanti, invece, pur vivendo con poco, hanno mostrato una gioia profonda, perché il loro tesoro è Cristo?

Guida pratica: Come servire Dio e non il denaro

Per non restare solo nella teoria, propongo un cammino concreto, teologico e pastorale, che ci aiuti a discernere ogni giorno chi stiamo servendo:

1. Esame del cuore

Chiediamoci con sincerità: Dove metto la mia sicurezza? Nel saldo del mio conto corrente o nella Provvidenza divina? Nella mia carriera o nella fedeltà a Dio?

2. Pratica della povertà evangelica

Non si tratta sempre di rinunciare a tutto come San Francesco, ma di vivere con sobrietà, evitando sprechi e accumuli inutili. San Paolo scrive: “Se abbiamo di che mangiare e di che coprirci, accontentiamoci di questo” (1 Tm 6,8).

3. Carità concreta

Il modo migliore per “disarmare” il potere del denaro è condividerlo. La limosina, l’aiuto al prossimo, il sostegno alle missioni non sono solo atti di generosità, ma dichiarazioni di fede: “Il mio Signore è Dio, non il denaro”.

4. Preghiera fiduciosa

Chi serve Dio si affida alla Sua Provvidenza. Il Padre nostro stesso ci insegna a chiedere “il pane quotidiano” e non a inseguire tesori illusori.

5. Testimonianza sociale

Un cristiano non vive la fede solo nella sfera privata: è chiamato a promuovere una società più giusta, dove l’economia sia al servizio della persona e non viceversa. Ciò significa rifiutare la corruzione, denunciare le ingiustizie e sostenere iniziative che rispettino la dignità umana.

Applicazioni nella vita quotidiana

  • Famiglia: educare i figli a non misurare la vita dal possesso, ma dall’amore condiviso.
  • Lavoro: non fare del successo professionale un idolo che sacrifica la salute, la fede e la famiglia.
  • Consumi: chiedersi sempre prima di acquistare: “Ho davvero bisogno di questo? O sto solo alimentando un vuoto interiore?”.
  • Spiritualità: coltivare la gratitudine, riconoscendo che tutto è dono e che la vera ricchezza è avere Dio come Padre.

Conclusione: scegliere il vero Signore

Alla fine, la frase di Gesù ci porta a una scelta radicale: chi è il mio padrone? Non basta una fede a metà, non si può camminare con un piede nel Vangelo e l’altro nell’idolo del denaro.

Il mondo ha bisogno di cristiani liberi, non schiavi. Liberi dall’ansia del possesso, liberi dall’idolatria del denaro, liberi per amare.

Ricordiamo le parole di San Paolo: “La radice di tutti i mali è l’amore del denaro” (1 Tm 6,10). Ma la radice di ogni bene è l’amore di Dio.

Che questa parola evangelica scuota le nostre coscienze, ci aiuti a discernere ogni giorno le nostre scelte e ci renda veri testimoni di un Signore che non delude mai: Gesù Cristo, nostro unico Tesoro.

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Pater noster, qui es in cælis: sanc­ti­ficétur nomen tuum; advéniat regnum tuum; fiat volúntas tua, sicut in cælo, et in terra. Panem nostrum cotidiánum da nobis hódie; et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris; et ne nos indúcas in ten­ta­tiónem; sed líbera nos a malo. Amen.

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