Il comulgatorio: la balaustra dimenticata che proteggeva il più sacro

In un tempo in cui la velocità e la superficialità sembrano aver invaso anche gli spazi sacri, vale la pena fermarsi e riscoprire quei segni visibili che la Tradizione cattolica ci ha lasciato come custodi silenziosi del Mistero. Uno di questi è il comulgatorio, o balaustra dell’altare. Quella semplice struttura in pietra, legno o marmo non era solo un elemento architettonico: era un catechismo muto, una predica di pietra scolpita nel linguaggio della reverenza.

Oggi, nella maggior parte delle chiese moderne, il comulgatorio è scomparso, rimosso o dimenticato. Ma la sua assenza parla più forte della sua presenza: cos’è andato perduto con la sua eliminazione? Quale teologia, quale pedagogia liturgica stava dietro a questa “barriera” così umilmente sacra? E soprattutto: cosa possiamo recuperare oggi, nel nostro modo di vivere e ricevere l’Eucaristia, da questo simbolo silenzioso ma eloquente?


1. Origine e storia del comulgatorio

Il comulgatorio, noto anche come balaustra dell’altare, trova le sue radici nell’antichità cristiana. Le prime basiliche romane, pur essendo semplici, delimitavano già visivamente il presbiterio – la zona riservata al clero – dal resto dell’assemblea. Con il passare dei secoli, questa distinzione divenne sempre più marcata: si crearono le iconostasi in Oriente e le balaustre in Occidente.

Dal Medioevo in poi, in ogni chiesa cattolica era comune trovare il comulgatorio: una barriera bassa che circondava il santuario. Ma non era una barriera per escludere, bensì un confine per proteggere. Così come nel Tempio di Gerusalemme vi erano zone riservate, il comulgatorio indicava il passaggio dal profano al sacro, e in esso si svolgeva il gesto più intimo del culto: la Santa Comunione.


2. Rilevanza teologica: un confine sacro

Nel pensiero liturgico tradizionale, lo spazio della chiesa è un’immagine del Cielo. Ogni elemento ha un significato. Il comulgatorio, in questa visione, segna la soglia tra il Cielo e la terra. Il fedele si avvicina, si inginocchia, riceve Dio… e poi ritorna al mondo trasfigurato.

Questa struttura quindi non è una “divisione sociale” tra sacerdote e laico, come spesso si è voluto interpretare nel post-Concilio. Al contrario, è una pedagogia visiva del mistero: Dio è vicino, ma non è “qualunque cosa”. Il Sacramento è gratuito, ma non banale.

Nel libro dell’Esodo, Dio dice a Mosè:

“Non ti avvicinare! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo dove stai è suolo santo” (Es 3,5).

Il comulgatorio è il “togliti i sandali” della liturgia. È un invito al silenzio, alla riverenza, all’umiltà. È il luogo dove il Cielo si china verso l’uomo… e l’uomo si inginocchia davanti al Cielo.


3. Simbologia: inginocchiarsi per ricevere Dio

Uno degli usi più belli del comulgatorio era quello della Comunione inginocchiata e in bocca. La balaustra permetteva al sacerdote di passare con calma, con raccoglimento, a distribuire l’Ostia Santa mentre il fedele, inginocchiato, si preparava con silenzio e umiltà.

Non era un rito freddo o distante, ma profondamente personale, profondo, silenzioso. Ogni gesto parlava:

  • L’inginocchiarsi = riconoscere la propria piccolezza davanti a Dio.
  • La bocca aperta = ricevere come bambino, senza pretendere.
  • Il silenzio = adorazione pura.

Come dice il Vangelo:

“Chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino, non vi entrerà” (Mc 10,15).

Il comulgatorio formava i fedeli al rispetto, alla preparazione interiore, alla centralità del Mistero. E lo faceva senza parole.


4. Distruzione silenziosa: perché è scomparso?

Dopo il Concilio Vaticano II, molte interpretazioni (spesso arbitrarie) della riforma liturgica portarono alla rimozione sistematica delle balaustre. Alcuni pensarono che fossero un segno di clericalismo, una separazione non necessaria, un ostacolo alla “comunione fraterna”.

Ma cosa accadde davvero? Si abbatté un segno visibile e teologico per fare spazio a una liturgia più “orizzontale”, meno sacra, più “accessibile”. Il risultato? In molti luoghi, l’Eucaristia è stata ridotta a un gesto automatico, ricevuto in piedi, in fretta, senza raccoglimento, senza riverenza.

Non si tratta di nostalgia, ma di verità sacramentale: ciò che è sacro richiede segni visibili di rispetto. E se questi vengono rimossi, la coscienza del Mistero si indebolisce.


5. Guida pratica: come vivere oggi lo spirito del comulgatorio

Se la tua chiesa non ha il comulgatorio, non disperare. Puoi comunque vivere il suo significato interiore. Ecco alcune indicazioni pratiche, teologiche e pastorali:

A) Ricevere la Comunione con riverenza

  • Se possibile, inginocchiati. Se non c’è comulgatorio, fallo sul pavimento o su un inginocchiatoio.
  • Ricevi la Comunione in bocca, come atto di umiltà e fede. Questo è il modo tradizionale e più coerente con la teologia cattolica.
  • Fai un atto di adorazione prima e dopo: un segno di croce, un inchino profondo, un momento di silenzio interiore.

B) Preparati come se fosse il tuo “incontro con Dio”

  • Confessati frequentemente.
  • Digita almeno un’ora prima di comunicarti.
  • Arriva in chiesa con anticipo e prepara il cuore con preghiera e raccoglimento.

C) Catechizza con l’esempio

  • Se hai figli, nipoti o catechizzandi, mostra loro con il corpo ciò che credi con la fede.
  • Spiega perché ti inginocchi, perché fai silenzio, perché ricevi in bocca.
  • Non avere paura di sembrare “diverso”. In un mondo senza confini, il cristiano deve essere un segno di contraddizione.

6. Ripristinare il comulgatorio: una proposta concreta

In molte chiese, le balaustre sono ancora conservate nei magazzini, o nascoste. In altre, si possono ricostruire facilmente. Il ripristino del comulgatorio non è un capriccio estetico, ma un atto di giustizia verso il Sacramento e di pedagogia verso il popolo di Dio.

Sacerdoti, architetti, parroci, catechisti: avviate questo processo con prudenza e fermezza. Spiegate il senso profondo. Non si tratta di “tornare indietro”, ma di ritrovare l’essenziale.


Conclusione: un’umile barriera che ci proteggeva dall’abitudine

In un mondo che banalizza tutto, il comulgatorio ci ricorda che il Mistero ha bisogno di rispetto, che l’incontro con Dio non può essere improvvisato, e che il corpo deve adorare insieme all’anima.

Non serve fare rivoluzioni, ma riscoprire i segni che ci formavano. E questo piccolo recinto sacro, il comulgatorio, era uno di essi. Non lo disprezziamo: custodiamolo nel cuore, nella mente e, se possibile, anche nella pietra.

Perché ricevere Dio come bambini, inginocchiati, in silenzio… è già un anticipo del Cielo.

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Pater noster, qui es in cælis: sanc­ti­ficétur nomen tuum; advéniat regnum tuum; fiat volúntas tua, sicut in cælo, et in terra. Panem nostrum cotidiánum da nobis hódie; et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris; et ne nos indúcas in ten­ta­tiónem; sed líbera nos a malo. Amen.

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